Ho trovato nella sua precaria fucina, in località Santa Maria, l’amico d’infanzia Gigi Del Vecchio intento a forgiare il ferro per costruire gli zoccoli da applicare ai piedi di un cavallino di proprietà di Cenzino Pellegrino, un appassionato di cavalli la cui famiglia, da molte generazioni, ha sempre allevato, custodito ed addestrato muli e cavalli, con passione e competenza.
Gigi è l’ultimo maniscalco della nostra cittadina (mentre suo nonno forse è stato uno dei primi) e presta ancora la sua preziosa ed utile opera saltuariamente, solo per passione, a qualche vecchio ed affezionato cliente.
Vero artista nel suo campo, pieno di talento e fantasia, apprese l’antico mestiere dal nonno Luigi e dal padre Tommaso che avevano “la forgia” alla “ sagliuta d’a Chiazza” a fianco del locale attualmente adibito a sala musica della banda Mario Aloe.
Il lavoro, mi riferisce Gigi, c’era per tutti ed era sufficiente per il sostentamento di una famiglia numerosa come la sua.
Ogni giorno si ferravano dai 10 ai 20 animali: di domenica poi il numero raddoppiava ed il lavoro si protraeva fino a tarda sera, a lume di lanterna.
Molti contadini, che non disponevano di denaro contante, pagavano con prodotti della terra, con qualche bottiglia d’olio o di vino, con qualche soppressata etc.
Gigi ricorda che non era facile procedere alla ferratura quando ci si imbatteva in un animale capriccioso che scalciava, non disposto a farsi ferrare.
In quelle occasioni si poteva buscare anche qualche pericoloso calcio…e, mentre mi mostra qualche segno, mi assicura che non era una faccenda molto allegra prendere un calcio da un cavallo!
Tempi difficili ! ! !
Per arrotondare l’incasso “ i furgiari” costruivano e riparavano vommari, vanghe, zappe e svariati attrezzi per l’ agricoltura e per la casa (ricordiamo i famosi “ tripidi”), i più bravi ed esperti anche ringhiere per terrazzi e balconi.
Erano tempi in cui molti possedevano asini, muli e cavalli che trainavano carretti e carrozze, mezzi di comunicazione lenti, ma sicuri che il progresso tecnologico e meccanico hanno fatto scomparire e insieme a loro sono in via di estinzione quei laboriosi animali che tanta fatica hanno alleviato all’uomo.
Per conseguenza anche il mestiere del maniscalco è del tutto scomparso..Ma di loro serbiamo un ricordo vivo edincancellabile perché erano artigiani pieni di fantasia, onesti, laboriosi, tanto pazienti ed utili.
Mentre parlavo a Gigi, vedendolo all’opera, infiniti ricordi del passato e dell’adolescenza sono tornati alla mia mente.
Molti miei coetanei ricorderanno quando giocavamo con la trottolina di legno “ u strummulu”.
Avevamo tutti bisogno del fabbro che pazientemente ci preparasse con “le poste” (i chiodi usati per applicare i ferri ai quadrupedi) la punta “d ‘u strummulu” col quale passavamo molte ore della giornata ed inventavamo numerosi giochi.
Anche in questo Gigi era maestro per la nostra felicità, ed il più delle volte si accontentava di un solo grazie.
D’altra parte era già un’impresa, a quei tempi, riuscire a comprare il nostro giocattolo alla botteguccia di Barone alla Calavecchia o d’’a zi’ Luisella i Munnu.
Quando la punta veniva applicata correttamente, come usava fare Gigiuzzu, “u strummulu girava perfettamente e veniva chiamato da noi “pumasella”, quando la punta aveva difetti veniva chiamato “gravunaru” perché ronzava veramente come un calabrone…
Immagini di un tempo lontano, revocate dal rimbombo della mazza che plasma sull’incudine un ferro rovente mentre migliaia di scintille, come i ricordi, volano per spegnersi e confondersi nell’oscuro soffitto della forgia, coperto di secoli di fuliggine….
(testo di Ninuccio De Luca)