Storia e futuro di una Fiera

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Il grande mercato di Amantea resiste dal feudalesimo. Ma è necessario un salto di qualità

di Vincenzo Segreti

Come tutte le fiere del Mezzogiorno, quella di Amantea nacque in un clima di evoluzione dell’economia feudale verso forme più avanzate, miranti ad ampliare le attività commerciali e a consentire alle popolazioni, specie del contado, di approvvigionarsi annualmente di una vasta gamma di prodotti, anche mediante il baratto. I governi angioini, aragonesi, spagnoli e borbonici potenziarono le fiere con la conces­sione di esenzioni fiscali, privilegi nelle città interessate tanto che le fiere stesse divennero uno dei cardini della politica economica del Regno di Napoli, che rivolta ad esclusivo vantaggio delle classi dominanti, non risollevava la miseria e l’arretratezza del popolo.

Le origini

Noto centro marinaro e commerciale, sin dai tempi di Federico II di Svevia, Amantea ha sempre intrattenuto rapporti e traffici con Messina, le Eolie, Salerno, Amalfi e Napoli. Le intense attività mercantili, sostenute dai ricchi mercanti Ebrei, indussero Ludovico II d’Angiò a concedere, con decreto del 17 agosto 1432, l’istituzione di un mer­cato domenicale “franco” da tenersi, sotto il controllo dei Portolani e dei Regi Secreti, magistrati e cittadini, in contrada Santa Maria del Fossato.

Per quanto riguarda la fiera, la prova in­diretta della preesistenza del mercato annuale, è un privilegio di Filiberto Chalon, Viceré di Napoli, datato l’Aquila 31 gennaio 1529. Tale privilegio, in nome di Carlo V, riconferma al mastrogiurato il governo della città e della fiera di giugno. Da un atto del 1729, redatto dal Notaio Saverio Ferraro di Amantea, si apprende che la fiera iniziava il 27 giugno e terminava il 6 luglio. Vi è descritta, inoltre, la suggestiva cerimonia dell’epoca dell’imperatore spagnolo, degna per i suoi valori storici e simbolici di essere riproposta: il mastrogiurato, alla presenza dei due sindaci dei nobili e di quello del popolo, riceve dal governatore il bastone, emblema di comando, e la bandiera della fiera, recante lo stemma di Carlo V e della città.

Tempi e luoghi

Più tardi, con la decadenza dell’aristocrazia e il progresso della borghesia, il potere del “mastro della fiera” sarà solo rappresentativo. Nel 1755, la fiera si svolgeva dal primo di ottobre in avanti per essere dislocata in periodo borbonico “nel largo dei Cappuccini” dalla metà alla fine di ottobre, diventando, per la qualità delle merci e per il volume degli affari, una delle più importanti del Meridione, come annota l’economista Luigi Di Lauro, nel 1856. Nei primi decenni del 1900, l’annuale mercato trovò una definitiva sistemazione dal 27 ottobre al 2 novembre, acquisendo la denominazione di “fiera dei morti” o di “tutti i Santi”, per il variare delle esigenze di compravendita e la suddivisione dei settori zootecnico e merceologico.

Resti del passato

La fiera degli animali, che si effettua nei primi tre giorni, oggi è in via di estinzione, per la crisi degli allevamenti calabresi e per la mancanza di un foro boario; quella dei generi di consumo, cessate le necessità del rifornimento annuale, si è trasformata in un grande mercato. Eppure quest’ultima riesce ad evocare atmosfere del passato con l’esposizione di recipienti di vimini e di paglia, di ceramica, di oggetti in rame ed in ferro battuto, non più utensili da lavoro, ma elementi ornamentali.

Gli antichi sapori rivivono nei “mostaccioli” confezionati con miele e farina, nei panini ripieni di “spezzatino” o di salciccia arrostita con rape o di baccalà fritto, nelle croccanti caldarroste, graditi ai visitatori della fiera.</>

Se apprezzabile è il giro d’affari, piuttosto carente è l’aspetto antro-pologico di quest’evento. Si è smarrito il senso dell’ospitalità nei confronti dei “ferari” che una volta venivano alloggiati in apposite baracche o accolti nelle case; si è affievolita l’umana solidarietà per i mendicanti, presenti ancora nei giorni della fiera. Tuttavia rimane vivo lo spirito della festa, che rompe con la monotonia della quotidianità, stabilendo fra i cittadini rapporti più amichevoli attraverso l’usanza dello scambio dei doni e agevolando nuove conoscenze.

Il futuro

Ora la fiera di Amantea deve ade­guarsi ai tempi, pur non rinunziando alla sua storia. È indispensabile che gli Enti operino una più decisa scelta verso le tipiche produzioni del comprensorio amanteano e della regione, contenendo la quantità della merce importata, repe­ribile nei negozi e nel mercato settima­nale.

In tale direzione l’amministrazione comunale sperimenta un tentativo che permette agli operatori commerciali di presentare prodotti agroalimentari ed ittici, di allestire del “bri brac”, del mobile antico e dell’antiquariato e di espor-re una serie di modelli di imbarcazione.

In attesa della costituzione di un ente fiera, urge predisporre un’ampia zona extraurbana munita di stand adatti e di infrastrutture indispensabili quali parcheggi, impianti per incontri commerciali, dibattiti culturali, divertimenti, spettacoli e locali per la ristorazione e per i servizi igienici.

S’impone un salto di qualità, finalizzato alla trasformazione dell’attuale fieramercato in rassegna campionaria ed espositiva, se si vuole che la fiera di Amantea sia un valido strumento di sviluppo per la città e il suo hinterland.

(le immagini non fanno parte dell’articolo, ma sono state realizzate durante la “Fiera” di Amantea dalla redazione di “amanteaninelmondo”)

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